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15 aprile 2011

Bottino


Pioveva, ma questo non era un problema per Oderzo, anzi: le strade erano vuote, le ombre erano più fitte…
Si guardò intorno per essere sicuro che non ci fosse proprio nessuno, poi risalì con lo sguardo al suo obbiettivo: la finestra al terzo piano, l’unica senza sbarre della bassa torre cittadina.
Cominciò cautamente l’arrampicata. Le pietre offrivano pochi appigli e, per giunta, erano bagnate, ma con qualche cautela in pochi minuti riuscì ad arrivarci. Ora veniva la parte più difficile.
Estrasse gli attrezzi da scasso da una tasca del mantello e con pochi, esperti movimenti riuscì a forzare l’imposta senza cadere.
Scavalcando il davanzale, si tolse le scarpe e il mantello, completamente inzuppati, per non essere appesantito e muoversi più silenziosamente. Da una porta spalancata alla sua destra proveniva un sonoro russare. Lasciò cadere gli abiti nella strada, il “ciaf” si confuse col suono dell’acqua che cadeva.
Oderzo controllò la porta alla sua destra: il vecchio servitore, che aveva visto spesso al mercato, dormiva della grossa. Non si sarebbe svegliato di certo…
Si infilò nell’altra porta, che dava su un breve corridoio. Contò le porte: una, due… la terza era quella che cercava.
Essendo pratico di queste cose, controllò nella poca luce maniglia e serratura. Non sembravano esserci pericoli… Armeggiò un poco con i suoi attrezzi, stando attento ad ogni minimo movimento per evitare trappole.
Il mago doveva sentirsi molto al sicuro, non aveva lanciato nemmeno un piccolo incantesimo d’allarme sulla maniglia della porta del suo laboratorio.
Oderzo era là per rubare un diamante, il più grosso diamante che avesse mai visto, grande come il suo pugno: il mago, quella mattina, lo aveva comprato dal gioielliere proprio sulla piazza principale della città, senza nascondere il suo acquisto, anzi, quasi sfoggiando la sua ricchezza.
Soldi acquisiti con mezzi arcani, vanità, presunzione… Quell’uomo meritava di essere derubato.
Quando la porta si aprì, il buio totale era interrotto solo da un minuscolo lucore azzurrino al centro della stanza senza finestre. Curioso… L’unica cosa che Oderzo poté vedere avvicinandosi era la fonte di quella luminosità, il diamante, montato su una strana intelaiatura di metallo a forma di treppiede. Evidentemente il mago aveva già cominciato i suoi esperimenti… Meglio, la pietra avrebbe avuto più valore!
Oderzo esaminò meglio che poteva la struttura che reggeva il diamante: non sembravano esserci trappole nemmeno lì e, del resto, quali incantesimi avrebbe potuto lanciare il mago in così poco tempo? Forse tutto quel che voleva fare era creare una costosissima lampada magica…
Allungò la mano verso il diamante, ma subito la ritirò dopo averlo appena sfiorato: la pietra scottava!
Diavolo di uno stregone, chissà che aveva combinato; ma Oderzo non si perse d’animo e indossò i guanti che portava infilati nella cintura.
Riprovò a prendere il diamante: mentre avvicinava le dita avide, poteva sentire il calore anche attraverso la pelle dei guanti e, per un attimo, sembrò che la luce della pietra aumentasse d’intensità.
Improvvisamente Oderzo si sentì afferrare per le dita da qualcosa, una forza invisibile, che lo tirava verso il gioiello. Cercò di resistere… ma era inutile. Vide con stupore qualcosa, nella pietra, sembravano case, anzi, un’intera città, identica a quella dove si trovava in quel momento. Poi vide la sua mano che, pur senza rimpicciolire, penetrava nel diamante e vi era interamente contenuta… poi il braccio, infine, come precipitando, si ritrovò a scomparire interamente nella pietra.
L’ultima cosa che sentì, prima di essere abbagliato da una gran luce, fu una risatina soffocata.

Nell’angolo più buio del suo studio il mago, seduto sulla sua poltrona nera, ridacchiava contento. Guardò il diamante e, battendo divertito le mani, disse: “Il primo abitante per la mia città in miniatura!”


Autore: Luca d’Alessandro

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